Il sostituto procuratore Fabrizio De Angelis ha aperto un’inchiesta sulla morte di Stefano Frapporti, il muratore cinquantenne che si è tolto la vita in carcere poche ore dopo l’arresto. Sulla salma è già stata eseguita l’autopsia. Nel frattempo, la famiglia dello scomparso ha deciso di affidarsi a uno studio legale per fare chiarezza su alcuni aspetti della vicenda che paiono quanto meno nebulosi. Mentre nel merito dell’arresto non c’è nulla da eccepire - al muratore era stato sequestrato oltre un etto di hashish diviso in due pezzi, c’erano gli estremi di legge per portarlo in carcere -, molte perplessità solleva la modalità del suicidio, avvenuto in una delle tre celle del reparto Osservazione. L’artigiano non si è impiccato con le lenzuola in dotazione al carcere, bensì con la stringa dei pantaloni della tuta ginnica che indossava. Un dettaglio che fa la differenza, poichè nessuno ha pensato di privare il detenuto dello strumento con il quale poteva danneggiarsi. Entrato attorno alle 10.30 alla casa circondariale di via Prati, è stato trovato morto due ore più tardi. Altro elemento di perplessità lo suscita il fatto che il muratore non abbia telefonato a nessuno, quella sera. Né all’avvocato, né alla famiglia. Secondo una versione riferita ai legali, gli sarebbe stato negato il permesso di telefonare dal carcere, benchè ne avesse fatta richiesta. La famiglia è del parere che se Stefano avesse potuto parlare con qualcuno in quel momento di massima pressione emotiva, forse il giorno dopo non si sarebbe pianta la tragedia. Il triste epilogo ha suscitato molta impressione in città, dove l’artigiano era conosciuto e apprezzato. «Magari a casa, dopo dieci ore di lavoro, si sarà fatto qualche spinello. Ma era una brava persona, altro che delinquente. Un gran lavoratore, bravo e serio. Assurdo che sia finito così» concordano amici e conoscenti.
Tratto dal Trentino del 28 luglio 2009
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