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Non si può morire così...
Stefano Frapporti era un muratore di 48 anni. Il 21 luglio 2009 andava in giro in bicicletta quando è stato fermato da due carabinieri in borghese per un'infrazione stradale. Portato in carcere perché sospettato di spaccio non uscirà mai vivo dalla cella.

Questo blog nasce dalla volontà della famiglia di ottenere chiarezza su quel che è successo a Stefano e per chiedere che venga fatta giustizia.



ASSEMBLEA PUBBLICA TUTTI I MARTEDI' DALLE 20.00 ALLA SEDE DELL'ASSOCIAZIONE "STEFANO FRAPPORTI" IN VIA CAMPAGNOLE 22.

domenica 22 novembre 2009

I media si sono accorti che esiste la violenza istituzionale

Finalmente i media si sono accorti che esiste la violenza istituzionale, che si può morire di botte in prigione, che la tortura non riguarda il terzo mondo. Le forze politiche ancora balbettano. Un modo elegante per uscire dal silenzio sarebbe l’approvazione di una piccola legge, quella che introduce il crimine di tortura nel codice penale. L’Italia nel lontano 1987 ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ma oggi rispetto a essa è ancora inadempiente. Nei seguenti paesi europei la tortura è un delitto specifico: Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Islanda, Lettonia, Lussemburgo, Macedonia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Slovenia, Slovacchia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria. In Italia la tortura invece non è reato. Vi sono vari disegni di legge pendenti. I senatori radicali Poretti e Perduca tentarono un coraggioso colpo di mano mentre si discuteva il pacchetto sicurezza. L’emendamento che avrebbe introdotto il crimine di tortura fu bocciato per soli cinque voti. Non sappiamo chi allora votò contro perché il voto era segreto. La proposta di legge sulla tortura va approvata senza farsi condizionare dai sindacati di polizia e dalle forze dell’ordine. Di fronte agli episodi gravissimi di questi ultimi giorni appaiono non comprensibili tanto meno condivisibili le giustificazioni, le difese di corpo, le rimostranze sindacali sul numero scarso di poliziotti al lavoro nelle carceri. Non regge l’assioma secondo cui poiché i poliziotti sono pochi, di conseguenza sono stressati e quindi…. Riteniamo che la questione non sia quella di aumentare l’organico di polizia bensì di razionalizzarne la dislocazione. Nell’Europa dei 27 l’Italia ha raggiunto il ragguardevole risultato di essere tra i paesi con il numero più alto di poliziotti penitenziari in termini assoluti e relativi. Se si considera l’attuale numero di detenuti – 65 mila circa – in Italia abbiamo un poliziotto penitenziario ogni 1,54 detenuti. La media europea è di 2,94. Sono 42.268 i poliziotti penitenziari in organico. 39.482 sono i poliziotti che lavorano effettivamente per l’amministrazione penitenziaria al netto di distacchi e assenze di vario tipo. Tra le situazioni regionali di maggiore disagio vanno segnalate quelle del Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Sardegna. Posto che circa 1500/1800 agenti svolgono compiti anche di natura contabile, che circa 700 agenti lavorano negli spacci, che circa 4/5000 uomini sono giornalmente impegnati nei servizi di traduzione e piantonamento dei detenuti fuori dalle strutture penitenziarie, che circa 500 agenti lavorano al Ministero della Giustizia, che circa 1600 agenti lavorano al Dap, che varie migliaia sono impegnate nei Provveditorati regionali, nelle Scuole di formazione, agli U.E.P.E., al GOM – Gruppo Operativo Mobile-, al N.I.C. - Nucleo Centrale Investigazioni, all’U.S.P.E.V. Ufficio per la Sicurezza del Personale e della Vigilanza, al Servizio Centrale delle Traduzioni e Piantonamenti, con annessa la sezione relativa al Servizio Polizia Stradale, fuori dall’Amministrazione penitenziaria (Corte dei Conti, Presidenza Consiglio dei Ministri, C.S.M., ministeri diversi) ne restano a spanne 16 mila che si sobbarcano il lavoro atto a garantire la sicurezza complessiva nelle carceri. Per un sud che non ha carenze di organico – anzi - vi è un nord dove la situazione è drammatica (a Padova nuovo complesso mancano 78 unità, a Tolmezzo 38, a Torino 187, a Brescia 155). Si tratta di eredità del passato difficili da gestire ma che non giustificano lamentele. Soprattutto non giustificano comportamenti illegali. Vorremmo che fossero gli stessi sindacati di polizia a chiedere che la legge penale italiana persegua la tortura e i torturatori. Solo così le loro rimostranze saranno credibili.

di Patrizio Gonnella - Presidente di Antigone

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