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Non si può morire così...
Stefano Frapporti era un muratore di 48 anni. Il 21 luglio 2009 andava in giro in bicicletta quando è stato fermato da due carabinieri in borghese per un'infrazione stradale. Portato in carcere perché sospettato di spaccio non uscirà mai vivo dalla cella.

Questo blog nasce dalla volontà della famiglia di ottenere chiarezza su quel che è successo a Stefano e per chiedere che venga fatta giustizia.



ASSEMBLEA PUBBLICA TUTTI I MARTEDI' DALLE 20.00 ALLA SEDE DELL'ASSOCIAZIONE "STEFANO FRAPPORTI" IN VIA CAMPAGNOLE 22.

martedì 3 novembre 2009

Il caso Frapporti va in archivio

Mentre governo e magistratura si dicono pronti a fare chiarezza sul caso di Stefano Cucchi, arrestato a Roma per spaccio di marijuana e morto qualche giorno dopo con il corpo tumefatto, la procura è orientata ad archiviare il caso di Stefano Frapporti, la cui morte per suicidio in una cella del carcere roveretano, a fine luglio, poche ore dopo l’arresto, ha sollevato una grossa impressione in città, oltre a una quantità di polemiche sfociate in numerose manifestazioni pubbliche in cui si chiedeva chiarezza sulla fine del muratore, incensurato fino al momento dell’arresto.
La Procura non ritiene vi siano elementi per ipotizzare reati né nel comportamento dei carabinieri - che avendo trovato, lo dicono i verbali, oltre un etto di hashish nell’appartamento di Frapporti non potevano fare altro che arrestarlo - né nella condotta delle guardie carcerarie, che non si potevano aspettare la repentina decisione di farla finita. L’unico appiglio sarebbe la famosa stringa dei pantaloni della tuta da ginnastica utilizzata da Frapporti per impiccarsi in cella: applicando il regolamento alla lettere le guardie avrebbero dovuto togliergliela, ma lui non aveva dato alcun segno di squilibrio o sofferenza. Pochi minuti prima di uccidersi era stato controllato e pareva tranquillo. Sarebbe ingeneroso addossare ogni responsabilità alla polizia penitenziaria. Dunque, escludendo responsabilità di terzi, la via scelta dalla Procura è l’archiviazione.
Intanto però gli amici e i parenti di Stefano Frapporti continuano a ritrovarsi ogni martedì al dopolavoro di via Santa Maria e stanno organizzandosi in associazione. Da loro arriva una lettera preoccupata per il clima creatosi in città. «Quando ci si presenta una morte come quella di Stefano è doveroso chiedersi se stiamo vivendo in uno stato libero e democratico. Molti risponderebbero di sì, altrettanti “non credo”, pochi stanno combattendo questa situazione ma tanti, ne siamo sicuri, si stanno chiedendo se si può fare ancora qualcosa. Se dovessimo rispondere, diremmo: “Basta pensare solo a se stessi, basta dare un valore solo al nostro benessere. Bisogna ricominciare a vivere l’uomo, l’amicizia, e ad avere rispetto per tutti. Noi, parenti e amici di Stefano, stiamo cominciando a vivere questo, che forse non ci rende migliori degli altri ma di sicuro consapevoli di volere una vita lontana da tutto ciò che può pevaricare l’uomo. Non vogliamo che accada ad altri ciò che è successo a Stefano, non vogliamo che qualcuno abbia la possibilità di fermarti e farti arrestare e che qualcuno, per girare la frittata, possa affermare che è stato Stefano a dire che aveva del fumo a casa. Facciamoci tutti una domanda, tranquilla e logica: perchè una persona alla quale non viene trovato nulla addosso, che non ha mai avuto problemi con la legge arrivi così “spontaneamente” ad una confessione? Cosa può portare un uomo a togliersi la vita lasciando tutti increduli? Pensateci bene perchè anche a voi potrebbe accadere la stessa cosa».

Il Trentino, 03/11/2009

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